Laboratorio sulla carta
giovedì 15 dicembre 2011
Francesco Leschiera, regista di “Le Prison” ci racconta le sue esperienze teatrali.
Purtroppo il mio Mac mi ha lasciato in una triste sera di primo inverno e quindi ho un po' di difficoltà a seguire il mio blog. Ma con la collaborazione di un amico vi 'segnalo', anche se un po' in ritardo, questo evento teatrale che ho visto qualche settimana fa.
Ho avuto anche il piacere di fare un'intervista al bravissimo regista di "Le Prison", lavoro teatrale di Genet, a cui Francesco si è ispirato per il suo primo lavoro di regia teatrale.
Chi è Francesco Leschiera?
Sono nato a Milano il 21 febbraio 1973. Pesavo ben 4 chili, non poco; poi con il passare degli anni, pian pianino, ho raggiunto il peso forma.
Per svariato tempo... dai sei ai tredici anni... sono stato apprezzato non tanto per le mie capacità scolastiche quanto per le mie doti sportive. Così ho proseguito i miei studi, all’Istituto Tecnico per il turismo Kennedy.
Ho iniziato a lavorare subito dopo il diploma per un’agenzia di viaggi e ci sono rimasto circa due anni con una parentesi londinese: esperienza istruttiva... tranne che per l’inglese.
Ho fatto il servizio di leva, che nel lontano 1994 era ancora obbligatorio. Poi sono ripartito per Londra e questa volta l’inglese l’ho imparato un pochino di più. Talvolta penso che a Londra ci vivrei.
Successivamente ho deciso che non era ancora il caso di fermarmi, ma questa volta mi sono spinto un po' più in là, in Cile e sono rimasto circa quattro mesi.
Una volta tornato, all’alba dei miei ventiquattro anni, ho pensato di aprire una mia agenzia di viaggi: cinque anni abbastanza difficili interiormente durante i quali ho scoperto il teatro.
Francesco, puoi raccontarci come sei approdato al teatro?
L’approdo è stato abbastanza casuale ma solo nella circostanza concreta non in quella interiore.
Da adolescente ho sentito presto la voglia di esprimermi non capendo come. In effetti l'arte non era di casa, così molto banalmente seguivo più una corrente calcistica che artistica.
È stato grazie alla mia fidanzata che ho cominciato ad andare a teatro come spettatore.
Non capivo tutto, mancava qualcosa. Ho cominciato a cercare una scuola di teatro.
Ero abbastanza giovane avevo venticinque anni e dico abbastanza perché poi ho capito che per il mondo del teatro, per lo meno quello accademico, sei già vecchio a ventiquattro.
Questo mia ricerca è andata avanti, fino all'incontro con il Teatro della Contraddizione e da allora non ho più smesso.
Quali sono gli spettacoli di cui conservi un buon ricordo?
Tutti quelli nei quali ho lavorato: ognuno a modo suo è stato un’avventura, un’esperienza importante per la mia crescita personale.
Penso che ‘Die Previlegirten’ sia sicuramente uno spettacolo per me indimenticabile, facevo l'attore ed è stato premiato nel 2009 come Miglior Spettacolo e Miglior Regia da una giura popolare. Premio indetto dal Comune di Milano. Credo sia stata un'esperienza forte per tutti gli attori coinvolti.
Chi sono i tuoi compagni in questa bella avventura?
I miei compagni sono tutte persone con le quali ho condiviso come attore tanti spettacoli.
Sono veri amici.
Parliamo del prossimo spettacolo: di che cosa parla?
Il progetto è tratto da Les Bonnes di Genet.
Racconta della vicenda di due serve che amano e odiano al contempo la loro padrona. La amano perché vorrebbero diventare la Signora, sognando di integrarsi nell'ordine sociale di cui sono invece gli scarti. La odiano perché essa rappresenta quella stessa società che le rifiuta.
Drammaturgicamente ho cercato di rimanere fedele alla lingua e al senso profondo del testo, semmai sottolineandolo. Così, a differenza dell’originale di Genet ho inserito anche la presenza della Signora, come personaggio in quanto reale, ma sostituendolo con un ulteriore gioco di ruolo, dove il confine tra realtà e finzione è più sottile, e lo stesso gioco risulta più complesso di quello che viene rappresentato all'inizio della storia dove allo spettatore viene esplicitamente dichiarato il travestimento. Anche la scelta degli attori altro non è che l’evidenza del falso e solo così diventa pienamente simbolo di una condizione sociale ed esistenziale.
Perché il titolo "Le Prison"?
Le Prison mi è venuto in mente leggendo e rileggendo il testo per poi portarlo in scena.
Mi interessava approfondire il piano sociale delle due Serve laddove diventa condizione esistenziale.
Le Serve sono imprigionate nel loro stato sociale che cercano di scardinare, ma come spesso accade, non ci riescono, malgrado il ricorrere ad atti violenti.
Per l'articolo maschile “Le” prima di “Prison”, lascio a voi l'interpretazione.
E come mai hai scelto un'opera di Genet?
Non c’è un motivo vero e proprio: penso che con gli autori ci si incontri come in tante altre situazioni della vita. Mi sono piaciuti subito i personaggi de “Le Serve”: brutti, sporchi, animaleschi, ma così belli.
Per la locandina hai scelto uno dei quadri inquietanti di Francis Bacon?
Sì perché Bacon racconta attraverso la sua opera gli stati interiori e i disagi dell’uomo. C’è stata quindi un’affinità con la mia interpretazione registica e con il clima dello spettacolo.
Posso affermare che in qualche modo mi ha aiutato a trovare il carattere dei personaggi che avevo in mente.
Quindi Francis Bacon è collegato allo spettacolo?
Assolutamente sì. Perché le due serve sono anche loro 'figure mosse' e disgregate. Lo sono socialmente, moralmente e per identità frantumata. Si riflettono nel loro interagire, una nell'altra ma non gli è dato modo di riconoscersi se non in maniera distorta, d'altra parte per loro la sovraesposizione e l’eccesso è l'unica condizione per essere visibili.
Spazio Teatro Linguaggicreativi. Come è nata questa collaborazione?
Innanzitutto da un'amicizia che poi si è trasformata anche in collaborazione, l’anno scorso, per il progetto “Harryness” che ha visto un'anteprima nel maggio 2011.
Harryness debutterà nello Spazio Teatro Linguaggicreativi il 26 dicembre di quest’anno e sarà in scena fino all'8 gennaio.
A proposito… vi aspetto numerosi!
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